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MACCHINARI RECORD NELLA MANIFATTURA. EFFETTO ORDINI ANCHE CON IL NUOVO ANNO.

Due miliardi di consumi interni in più.
Luca Orlando, Il Sole 24 Ore  – 27 Dicembre, 2017

Milano– «E quello spazio vuoto?». «Lì arriverà il nuovo laser a cinque assi – replica Corrado Pistolesi indicando un’area del capannone – perché qui gli investimenti non sono ancora finiti».

L’ad di Cecomp, gruppo di componentistica auto alle porte di Torino che ha appena rifatto ex-novo un impianto investendo 12 milioni, quest’anno è in buona compagnia. Visitare le fabbriche, di questi tempi, è una sorta di dribbling tra lavori in corso. Che si tratti delle gru di Fassi o delle autoclavi di Fedegari, del formaggio di Igor o del cioccolato Icam, o ancora delle pressofusioni di Casati, il risultato non cambia: le aziende investono.

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Azioni individuali che si ricompongono in uno scenario macro finalmente “netto”, distante dal mondo degli zero virgola, sintetizzato dal nuovo record assoluto consumo interno di macchinari. Interno, cioè qui da noi.

Investimenti lievitati del 9%, a 23,5 miliardi, due in più rispetto al 2016, il 44% oltre l’abisso in cui eravamo caduti: non un secolo fa, appena nel 2013.

È l’Italia la grande novità del settore, abituato da sempre a confidare sulle commesse estere, investendo tempo e risorse oltreconfine anche per la cronica scarsità della domanda interna. Un quadro ora ribaltato, grazie ad un apparato di incentivi che scardina le logiche precedenti. Dall’imposizione fiscale sui macchinari “imbullonati” siamo passati al piano Calenda, una sorta di rivoluzione copernicana per un paese che forse ha finalmente compreso il valore “dell’ancoraggio” di un nuovo bene strumentale al territorio: che si traduce in competitività, produzione e dunque lavoro. Tra “fare cassa” (qualche spicciolo in più nel breve) e incentivare (più ricchezza prodotta qui) si è finalmente scelta la seconda via. E i risultati arrivano, come evidenziano i preconsuntivi di Federmacchine, sintesi delle singole associazioni di categoria, con indicazioni unanimemente positive, in più di un caso mostrando crescite a doppia cifra.

La produzione globale di impiantistica sale al nuovo massimo, a ridosso dei 46 miliardi: uno scatto dell’8,2% che vede l’Italia protagonista (+10,4% le consegne interne dei nostri costruttori, +9% il consumo totale nazionale), in grado di allungare il passo oltre il comunque brillante (+7,2%) andamento dell’export.
«È andata proprio come avevamo previsto – spiega il presidente di Federmacchine Sandro Salmoiraghi – perché l’impulso di Industria 4.0 ha sbloccato la situazione rimettendo in moto gli investimenti, bloccati a lungo per mancanza di fiducia. Io stesso nella mia azienda vedo clienti fermi da anni che ora ripartono. Il piano Calenda per l’Italia in fondo è un invito a nozze, per noi che puntiamo sulla specializzazione e sui prodotti di nicchia questa spinta all’innovazione è cruciale. Ora però occorre insistere, inserendo gli incentivi in un’ottica almeno quinquennale, il tempo necessario perché i grandi progetti di investimento possano maturare».

Il 2017 ha comunque già prodotto risultati eclatanti, con numerose associazioni risalite oltre i precedenti massimi storici, superando i picchi pre-crisi sia in termini di produzione che di mercato interno, dove quasi sempre i nostri costruttori sono riusciti a realizzare incrementi superiori rispetto ai concorrenti esteri. Eclatanti alcune performance, come ad esempio quelle dei macchinari per ceramica, dove i consumi in Italia crescono di oltre il 21%, così come accade per i macchinari della lavorazione del legno.

«Il comparto è al nuovo record – spiega il presidente di Acimall Lorenzo Primultini – e dagli associati sento solo commenti positivi. La svolta? Da una lato la ripresa economica, dall’altro gli incentivi 4.0 che hanno sbloccato il mercato, spingendo le imprese a cambiare macchine “stravecchie”. Ora abbiamo in media ordini che coprono 9-10 mesi di produzione».

La richiesta di proroga dell’apparato di incentivazione, avanzata a gran voce da tutte le associazioni di categoria, è stata ampiamente accolta dal Governo. Rinnovando il superammortamento seppure in versione “light” al 130% (si veda il Sole 24 Ore del 22 dicembre) ma soprattutto estendendo la validità del “bazooka” di Industria 4.0, l’iperammortamento al 250%. Utilizzabile per consegne effettuate fino a dicembre 2019, a patto che l’acconto del 20% sia saldato entro la fine del prossimo anno.
Estensione che consente di guardare con favore anche al 2018, che già parte comunque con il piede giusto, grazie all’effetto di trascinamento della massa di ordini acquisita quest’anno. In qualche caso persino eccessiva.

«Se avessimo voluto – spiega Mauro Biglia, imprenditore delle macchine utensili – avremmo potuto vendere in Italia il 100% dei nostri torni, tanto forte è la domanda in questo momento. Ai clienti abbiamo dovuto dire più di un “no”, anche se per il prossimo anno ci stiamo attrezzando, ripartendo con un nuovo programma di espansione. Investiremo in una terza linea di montaggio, in modo da gestire al meglio i picchi di domanda: a regime credo avremo una ventina di addetti in più».

«Per la prima volta il gruppo arriva oltre i 500 milioni di ricavi – spiega l’ad di Marposs Giuseppe Sceusi – e anche se l’export resta prevalente vediamo un buon contributo dall’Italia, che per noi cresce almeno del 10%. Il piano Calenda è servito a creare maggiore consapevolezza sulla necessità di investire in nuova tecnologia per restare sul mercato, oltre naturalmente a fornire lo stimolo per agire. I nostri clienti avevano lavoro anche in passato ma prevaleva la prudenza: ora il bonus ha sbloccato la situazione».

Che vede l’Italia primeggiare anche nel confronto internazionale, con il consumo di macchine utensili in crescita ad un tasso sette volte superiore rispetto alla media mondiale (+1,9% l’ultima stima di Oxford Economics), superando di slancio non solo le economie mature ma anche i paesi più lanciati nella costruzione di nuove fabbriche, come Cina e India. «E l’anno prossimo – aggiunge il numero uno di Federmacchine Salmoiraghi – credo che le cose andranno più o meno nello stesso modo. Non lo dico per il gusto di essere ottimista: guardo gli ordini».

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